mercoledì 1 febbraio 2023

Gli Spiriti dell'Isola

Un'isola chiamata Umanità


Irlanda, 1923. Dopo una vita spesa a incontrarsi ogni giorno con l'amico Pádraic per una birra e quattro chiacchiere, un giorno Colm decide di non aprirgli la porta di casa: ha deciso che parlare con Pádraic è solo una perdita di tempo, e gli intima di non parlargli mai più e lasciarlo concentrare sulla sua musica, unica traccia del suo passaggio su questa Terra. Pádraic, devastato, non si rassegna, e cerca in ogni modo di convincere l'amico a cambiare idea, coinvolgendo anche la sorella Siobhan e il matto del villaggio, Dominic: Colm, tuttavia, non cambia idea, e anzi sfodera una minaccia terribile se l'ex amico non si deciderà a lasciarlo in pace.

Il conflitto permea le nostre vite, a tutti i livelli: sul lavoro, tra nazioni, tra aziende, persino nella vita di coppia e tra amici. È un concetto pervasivo, e di cui proprio per questo è difficile parlare efficacemente: sarebbe come cercare di parlare del rumore di fondo o dell'aria che respiriamo. Per farlo servono non solo un testo impeccabile, ma anche una capacità di rimanere ancorati alla realtà e, al tempo stesso, astrarsene - parlare del quotidiano sia dei massimi sistemi. Un'operazione, questa, simile a quella fatta dai grandi filosofi, ma difficilissima da trasporre all'interno di un film dall'impianto comunque narrativo. 

Per farlo serve un grande scrittore ma soprattutto un grande regista: Martin McDonagh è ambedue le cose. Il conflitto in Gli spiriti dell'isola è sfaccettato, poliedrico, e multilivello: quello tra Pádraic e Colm è il motore della vicenda e poggia su basi surreali, ma al tempo stesso tremendamente realistiche. L'autolesionismo è sopra le righe, certo, ma rende per immagini un elemento fondamentale di tutti i conflitti che vanno fuori controllo: non ci può essere un vincitore, solo qualcuno che si fa meno male dell'altro. Una volta che la trappola è scattata, è impossibile sfuggirle senza perdere qualcosa di noi stessi. Siobhan e Dominic sono in conflitto con l'isola stessa, entità monolitica, ancestrale e silenziosa perfettamente rappresentata dall'inquietante vegliarda che sembra divertirsi a tendere loro imboscate. Il loro modo di guardare la vita si scontra con quello sempre uguale e immoto dei loro conterranei, e li condanna a un'eterna infelicità che sembra impossibile da scalfire: la voce dei loro personaggi è la voce della ragione, che rimane però inascoltata per la loro natura di "diversi".


Al largo della costa, lontana eppure terribilmente vicina, si consuma la lotta fratricida del conflitto irlandese, convitato di pietra della vita sull'isola: un conflitto che, come quello tra Pádraic e Colm, poggia su basi talmente antiche da essere ormai irrazionali, ma con radici così tortuose e intrecciate da essere ormai inestirpabili. Su tutto incombe una natura meravigliosa e matrigna, che toglie il fiato e stordisce, spingendo all'inazione: una natura la cui bellezza irretisce e terrorizza al tempo stesso, divinità distante che ci costringe ad affrontare la nostra piccolezza. Proprio la paura di non contare, di non essere ricordato è alla base del conflitto tra Pádraic e Colm, con il secondo che desidera lasciare un segno, dominare la morte (e, con lei, la natura immutabile) rendendosi immortale attraverso la sua musica. Colm è la ragione, Pádraic il sentimento; Colm è l'uomo che doma gli elementi, Pádraic colui che impara a conviverci; Colm è Lear, Pádraic il Folle. Tutta la vicenda ha eco di teatro classico, tra Shakespeare e tragedia greca, ma riesce al tempo stesso a parlare al presente - un presente in cui, nonostante la nostra pretesa di superiorità, il conflitto è ancora ben presente e sta erodendo i fondamenti della nostra società, facendone lentamente marcire il cuore.

McDonagh scrive una sceneggiatura semplicemente perfetta, che oscilla tra esilarante e drammatico sfociando anche nel pulp e nel grottesco - uno stillicidio di eventi in cui il masso inizia a rotolare giù dalla collina e lo spettatore continua a illudersi che si possa ancora fermarlo: in fondo procede così lentamente... Ma il masso procede inesorabile, e acquista sempre più velocità, trascinandoci con lui verso un finale di rara potenza emotiva. McDonagh non è, però, solo un geniale drammaturgo, ma anche un regista di precisione chirurgica. La sua abilità di cucire insieme i vari elementi del film è superba. La musica è evocativa e spettrale, dinamica e struggente al tempo stesso, a rappresentare l'evoluzione rapsodica e incontrollata del rapporto dei due protagonisti; la fotografia è contemplativa, fatta di una continua alternanza di primi piani e campi lunghi, a evidenziare l'isolamento e la solitudine sia dei protagonisti, sia dell'isola stessa. 

Gli attori sono sublimi, e alcuni di loro offrono le prove migliori della loro carriera, Colin Farrell in testa, perfetto nel ruolo di un uomo povero di cervello ma ricco di cuore, un uomo buono cui viene negato l'affetto e, per questo, scivola lentamente nell'astio e nell'odio, un odio alimentato dal dolore. Brendan Gleeson è il suo opposto, sicuro di sé e delle sue decisioni, capace di un cambio tanto radicale quanto apparentemente insensato, guidato dall'ego ma soprattutto dalla coscienza della sua mortalità, del suo essere un granello anonimo nella clessidra dell'universo. La sua devozione al suo cervello, alla sua creatività è tale che è disposto a sacrificarle tutto, compreso il suo cuore e i suoi arti: un atto di abnegazione che si fa masochismo, e che sembra fare il verso a quelli che, in un conflitto fratricida come quello irlandese, sembrano atti di eroismo, ma si rivelano a lungo termine inutili o addirittura deleteri. Kerry Condon e Barry Keoghan sono coprotagonisti solo nel conteggio matematico delle battute: le loro prove sono centrali per la riuscita del film, ed esprimono al meglio il sentimento di coloro che intravedono la tragedia, urlando di fermare il masso, ma non trovano nessuno che li ascolti.

Gli spiriti dell'isola conferma che Martin McDonagh non sbaglia un film. Dopo In Bruges, 7 Psicopatici, e Tre Manifesti, il regista-scrittore sfodera un altro film impeccabile, probabilmente il suo migliore: un film che, attraverso il microcosmo di un'isola, racconta il macrocosmo dell'umanità, con la sua cecità, la sua volontà, a parole, di evitare il conflitto, e la sua cronica incapacità di farlo. Gli spiriti dell'isola parla di noi: di ciò che siamo, di ciò che stiamo diventando, ma anche di ciò che, forse, siamo sempre stati: incancreniti nelle nostre convinzioni, immobili ma pronti a esplodere come l'isola di Inisherin.

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Pier

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