mercoledì 11 gennaio 2023

The Fabelmans

La magia di un mestiere


Il film racconta l'infanzia di Sammy Fabelman, dalla scoperta del cinema a sei anni fino al suo tentativo di iniziare una carriera da regista. Nel mezzo, i trasferimenti per il lavoro del padre e il rapporto con i genitori - inventore lui, pianista mancata lei - e le sorelle. 

C'è un trend impossibile da ignorare nel cinema degli ultimi anni, che vede grandi registi affermati riflettere sul proprio passato, con film autobiografici ricchi di nostalgia (è il caso di Cuarón e di Sorrentino, e in parte anche di Iñárritu), o su quello della propria arte (è il caso di Tarantino, di Scorsese e di Chazelle e, in parte, anche di P.T. Anderson). 

Spielberg unisce queste due tendenze, realizzando un memoir che è anche un inno al cinema - non alla magia della sala e delle immagini in movimento, come in Nuovo Cinema Paradiso, ma proprio al fare cinema, al mestiere, al duro lavoro e all'inventiva che stanno dietro a ogni film, dai grandi blockbuster fino ai film scolastici. Laddove Totò, alter ego di Tornatore in NCS, è uno spettatore appassionato, onnivoro e sognante, Sammy, l'alter ego del giovane Spielberg, fa e vuole fare cinema, non si limita a guardarlo: salvo che nella scena d'apertura vediamo raramente Sammy come spettatore, e solo per pochi istanti. Spendiamo invece tantissimo tempo con lui che cerca la sua strada come cineasta: lo vediamo superare difficoltà tecniche con grande ingegno, affrontare le prime indicazioni registiche a un attore, studiare inquadrature  (vedere Spielberg bambino che spiega la Spielberg face è un inside joke davvero soddisfacente) e, soprattutto, combattere con le resistenze del padre, che lo vorrebbe a fare un lavoro "vero." 

I film artigianali di Sammy sono una storia nella storia, piccoli capolavori di creatività che Spielberg si è palesemente divertito a rigirare in versione migliorata ora che ha a disposizione esperienza e budget. Il film di guerra è un piccolo gioiello, ma a brillare è il meno spettacolare filmato della gita scolastica: un'epopea giovanile degna di Un mercoledì da leoni in cui dei ragazzi diventano per un giorno eroi epici, comici, e drammatici - una perfetta rappresentazione del potere del cinema e del racconto per immagini, capace di creare miti dal nulla.

La storia della sua passione crescente si intreccia con quella del declinante matrimonio dei genitori, due anime uniche e profondamente diverse, che si amano ma non sono fatte per stare insieme: il padre, pioneristico ingegnere informatico, è calmo, metodico, preciso, schivo; la madre, pianista mancata, è irrequieta, saltabeccante, disordinata, e deve essere sempre al centro dell'attenzione. La loro differenza è chiara fin dalla prima scena, quando stanno accompagnando il giovane Sammy al cinema: il padre gli spiega come funziona la tecnologia alla base del cinema, la madre gli parla della magia e dei sogni che le immagini in movimento sono in grado di creare. 

Spielberg mette in scena una famiglia sgangherata, complessa e multiforme, in cui i non detti prevalgono sulle parole e la tensione si muove sotterranea, accumulandosi lentamente fino ad arrivare al punto di rottura. Una famiglia, quella di Sammy, che ricorda da vicino quelle disfunzionali di alcuni grandi romanzi americani (viene subito in mente Le correzioni), ma guardata con sguardo dolce e partecipe. Spielberg e Kushner, che firma con lui la sceneggiatura, sono molto attenti a gettare uno sguardo benevolo su ambedue i personaggi, nonostante quello della madre risulti istintivamente più insopportabile per il suo infantilismo: l'operazione riesce sia perché la sua principale qualità (l'amore e l'incoraggiamento per il figlio) è centrale per la passione di Sammy, sia grazie alla superba prova di Michelle Williams, che riesce a trasmettere alla perfezione la dolcezza e la fragilità che si nascondono dietro la teatralità e i capricci. Accanto al nucleo familiare dei Fabelmans si muovono personaggi memorabili, dal belloccio con una segreta sensibilità artistica al meravigliosamente strambo zio Boris, passando per un famosissimo regista il cui incontro (avvenuto esattamente nelle modalità descritte nel film) segnò la carriera del giovane Spielberg: non diciamo chi sia per lasciare allo spettatore il piacere di godersi la scena in cui fa la sua comparsa.

The Fabelmans non colpisce forte al cuore quanto alcuni dei film menzionati in apertura (È stata la mano di Dio su tutti), ma è scritto con maggiore coesione e precisione, senza sbavature. È una perfetta summa del cinema di Spielberg, nonché un grande esempio di sceneggiatura e, soprattutto, di regia nel suo senso più importante e, al tempo stesso, più dimenticato, quello che il giovane Sammy intuisce in un dialogo con il padre manager: il saper tirare le fila, la direzione efficace di tutte le parti, tutti gli artisti che lavorano su un film, per realizzare una visione di insieme. 
Spielberg realizza un film personalissimo, che racconta non solo la sua vita ma anche il suo lavoro, quello che ancora oggi svolge con grande passione e che è nato su set artigianali, fatti di treni giocattolo, costumi raffazonati, e puntine da disegno. In fondo, anche se molti blockbuster fanno di tutto per farcelo dimenticare, il cinema è fatto di piccole cose: di passione, creatività, ingegno, e sudore - della gioia di un sorriso, e delle sofferenze che nasconde; dello sguardo meravigliato di un ragazzo, e di quel momento di spasmodica attesa prima che anche noi possiamo scoprire cosa abbia visto.

**** 1/2

Pier

Nessun commento:

Posta un commento